Nel numero 1 dell’annata 1967 della rivista “Escursionismo” alle pagine 6 e 7 era apparso questo interessante articolo sulle montagne della Sardegna, che riproponiamo online -con qualche breve taglio – in altra veste grafica.

La Sardegna meridionale si formò per sedimentazione marina nel periodo cambriano (di cui sono stati trovati i fossili nelle arenarie e nei calcari); secondo i geologi la Sardegna centro-meridionale sarebbe emersa nel siluriano. I filoni di zinco e di piombo argentifero sono nei calcari cambrici, mentre i giacimenti di carbone (lignite pirea) sono nei terreni sedimentari eocenici al margine occidentale del Sulcis (Sestino, Il Paesaggio, in «Conosci l’Italia», vol. VII, ed. TCI, Milano, 1963). L’area consunta delle miniere, nell’Iglesiente, ha un aspetto desolato per la presenza del terriccio scuro, talora rossastro, che deriva dalle scorie per lo più disposte in terrazze digradanti, e dà l’impressione d’un progressivo inaridimento del solo, perché è spoglia di vegetazione. Ma, d’altra parte, lo sviluppo degli impianti tecnico-industriali offre nuove risorse di vita agli abitanti. Il senso di disgregazione della roccia è penoso quando si pensa al rischio che comporta il lavoro dei minatori, un lavoro che è eroismo senza esibizioni per coloro i quali vi sono legati dalla necessità di guadagnarsi il pane.

Molto varia e complessa la costituzione geologica di questa zona, che si esprime negli aspetti morfologici e nelle colorazioni del suolo (Sestini, op. cit.), ed è forse la più antica dell’isola, o tra le più antiche, nel «nucleo cambrico dell’Iglesiente» (v. Tuttitalia, Sardegna, ed. Sadea, Firenze, 1963). Il monte Linas e il monte Nieddu dominavano già il triangolo montuoso dell’Iglesiente, quando l’Italia e le altre terre del Mediterraneo erano ancora sotto il mare. Questa regione montuosa appare divisa dalla valle del Rio Cixetti in due zone: a Nord i monti dell’Iglesiente, fra i quali il più alto è il monte Linas (m. 1236), a Sud i monti del Sulcis, dei quali il più alto è il monte Caravius (m. 1116). Già sono state costruite case per i lavoratori delle miniere sui monti dell’Iglesiente; e su uno di questi, il Marganai (alto m. 906) sorgerà in un terreno donato da una società mineraria la prima colonia montana dell’Iglesiente per bambini e bambine.

Verso Sud-Est le vette più alte sono Punta Rocca Steria (m. 1009), Monte Sa Mirra (m. 1087), Punta Maxia (m. 1017) e Punta Sébera (m. 979), dalla quale si può vedere con il binocolo, nelle giornate limpide, il monte Atlante (v. Tuttitalia, op. cit.). Questa cima potrebbe diventare mèta di turisti, se fosse fornita di funivia o di seggiovia: per ora queste montagne impervie sono disabitate e hanno un aspetto selvaggio (che le caratterizza rendendole più attraenti) «per il frequentissimo comparire della roccia in massi e spuntoni» (Sestini, op. cit.). In complesso le dorsali scistoso-cristalline del Paleozoico non presentano vette molto elevate né molto frastagliate; più aspre e più variate sono alcune cime granitiche, smantellate dai fenomeni atmosferici dello strato cristallino; infine, caratteristiche sono le alture laviche del Sulcis, a forma di cupola, come la rupe di Siliqua (dominata dalle rovine del Castello dell’Acquafredda, che fu dei Gherardesca) alta solo 253 metri.
Verso il lido di S. Margherita i monti sono più bassi (la cima più alta è il monte Santo con 864 metri), ma hanno il profilo dentellato dei rilievi granitici. Anche queste rocce, come le vicine rovine di Nora, sono uscite da un millenario seppellimento mediante un lento, inesorabile scavo (operato nelle rocce dai fenomeni atmosferici) e, come l’antica città punica, offrono la visione di blocchi modellati in cubi e parallelepipedi, come basamenti d’antichi templi e piedistalli di statue, in cilindri e coni, come tronconi di colonne, creando l’illusione di vedere in questa zona archeologica un lembo di Grecia, anche per la presenza di pini d’Aleppo sulla scogliera e d’oliveti in pianura.
* * *

A Nord di Cagliari, ai margini meridionali del Gennargentu, si svolge la zona più caratteristica dell’isola per i tipici «tacchi» o tòneri (tavole calcaree, frequenti attorno al bacino del medio ed alto Flumendosa, che presentano muraglie rocciose con solchi profondi, creste e pinnacoli di tipo dolomitico; v. Sestini, op. cit.).
Domina la parte centro-orientale della Sardegna la zona montuosa del Gennargentu, che, conservando lo strato scistoso-cristallino, raggiunge notevoli altezze nel monte Terralba (m. 1552), nella Punta La Marmora, la cima più alta (m. 1834), nel monte Bruncu Spina (m. 1829), nel monte d’Iscudu (m. 1599), nel monte Spada (m. 1595). Il massiccio del Gennargentu, che ricorda per alcuni aspetti l’Appennino settentrionale arenaceo, offre vasto asilo alle greggi dei pastori e ai mufloni. […]

Su un contrafforte del Gennargentu si erge il monte di Nostra Signora di Gonare (m. 1083), famoso per un santuario del 1200, dove si recano i pellegrini in marzo e settembre alla sagra della Vergine, cantata da Sebastiano Satta in questa poesia:
«Nostra Signora bella
Che sul monte Gonare
Hai la casta dimora
In vista ad ogni terra,
In vista a tutti i mari:
Se a Te salgan pei cieli tempestosi
Di procelle e destini,
Le parole degli umili marini
E i voti delle barche coralline:
Se a te giungan sui venti
Meridiani l’affanno degli arsi
Mietitori e l’anelito
Degli scalzi pedoni,
E dei mendichi erranti,
Perché sei vista dalle opposte strade,
Che vanno tra i frumenti e i melograni,
Che vanno tra gli elceti e viti d’oro,
Ai gialli Campidani,
E al verde Logudoro:
M’ascolta tu, Signora di Gonare!
(M. Serra, Mal di Sardegna, td. Vallecchi, Firenze, 1963).
Questa cima sorge nei dintorni di Orani, non lontana dalle cave di steatite, da cui i protosardi ricavavano quei blocchi di pietra che usavano come stampi per il bronzo fuso. Siamo ormai nel Nuorese, dove il contrafforte del Gennargentu si aggancia ai rilievi dell’altopiano granitico dei dintorni di Nuoro (in cui il monte Ortobene è alto 955 metri). Un altro contrafforte raggiunge l’altezza di 1463 metri nella Punta Corrasi (nel Sopramonte) e si protende fino al Monte Irveri (m. 616) e al monte Tuttavista (m. 805) verso Orosei. A Nord-Est di Nuoro le belle cime del monte Albo superano appena i mille metri e nella nebbia luminosa sembrano aerei nastri sospesi sulle linee spezzate e contorte delle sugherete. Questi monti e gli altri (M.i Remule) che si dilatano in un susseguirsi di onde pietrificate fino al golfo di Orosei formano le Dolomiti della Sardegna, così chiamate perché costituiti da rocce calcareo-dolomitiche con falde detritiche. Radi pini e cespugli danno risalto alla natura calcarea delle vette biancastre e tondeggianti: manca in queste Dolomiti il frastaglio delle cime alpine e vi domina il carsismo, che, aprendo voragini, grotte e cunicoli, provoca una circolazione d’acqua sotterranea.
* * *

A Nord del Nuorese troviamo i monti del Limbara, il cui crinale a denti di sega forma con i monti di Ultana la Catena del Limbara, nella quale troviamo la Punta del Giuguntinu (m. 1310), la Punta Balestrieri (m. 1320), il monte Saurru (m. 739) e il monte Pino (m. 743). Parallela alla Catena del Limbara è quella del Marghine, un’altra apparente Catena (v. Sardegna, a cura di F.M. Stevani, vol. 1°, ed. IEI, Milano, 1963), che prosegue nei monti del Gocéano (M. Rasu 1259m.), nei monti di Alà (M. Lerno 1094 m.). Il paesaggio delle montagne granitiche è caratterizzato da «petraie, spuntoni, balze e pinnacoli», da massi tafonati e la sua origine geologica sembra risalire alla «fase ercinica» (nel Paleozoico) (v. Sestini, op.cit.).
Nell’altipiano della Gallura il granito è stato modellato in forme così varie e strane che dà l’impressione di vedere opere di scultura moderna, astratta, o di essere in un museo di Paleontologia. la fantasia dei Galluresi si è infatti sbizzarrita a scoprire figure d’uomini e d’animali in questi mostri di pietra che danno, nelle zone deserte, l’illusione d’una quarta dimensione cosmica, come se il tempo si fosse fermato in una remota fase orogenetica, nella primaria, in cui pesci e anfibi si insediarono sulla terraferma e comparvero i rettili, gli orribili dinosauri.
[…]
Infine trachiti, basalti e calcari costituiscono l’ossatura del Sassarese e della Nurra, le prime d’età oligocenica, le seconde mio-plioceniche e in parte quaternarie (Sestini, op. cit.), componendo un paesaggio in prevalenza collinare con qualche rilievo conico, d’origine vulcanica, più elevato (Monte Santo, m. 733). Un paesaggio montuoso lo troviamo, invece, nel massiccio del monte Ferru (la cui cima più alta è il monte Urtigu con 1050 metri), inciso da valli. Raggiungono appena i 500-550 metri le caratteristiche «girare» basaltiche, le quali si configurano come scure tavole su pendii di marne biancastre o inverdite dalla vegetazione; e i ruderi dei nuraghi all’intorno testimoniano l’esistenza dei protosardi su questi rilievi, dove si rifugiavano come su acropoli fortificate.
Anna Maria Campagna
[Nella foto in alto i Monti di Oliena (fonte: Wikipedia)]